4 Novembre: Giornata dell’Unità d’Italia e delle Forze Armate

La Prima Guerra Mondiale

Nel linguaggio comune la Prima Guerra Mondiale è conosciuta semplicemente come la “Grande Guerra”, nome rimastole nonostante poco più di vent’anni dopo ne venne combattuta un’altra più lunga e feroce. Il conflitto del 1914-1918 iniziò come uno scontro “locale” ma assunse, in breve tempo, la connotazione di un conflitto prima europeo e poi mondiale poiché vi parteciparono, più o meno direttamente, governi e popoli di tutti i cinque continenti anche se i campi di battaglia veri e propri rimasero quasi interamente circoscritti all’Europa continentale e all’Asia minore. Dopo un lungo travaglio interno tra neutralisti e interventisti, la neutralità e un complesso negoziato con il Patto di Londra (1915), l’Italia entrò in guerra al fianco delle potenze dell’Intesa, dopo aver fatto parte della Triplice Alleanza con Germania e Austria per più di trent’anni. Nel 1917 si giunse a una sorta di crisi generalizzata che trovò la sua massima espressione in Russia con la rivoluzione bolscevica, mentre l’ingresso in guerra degli Stati Uniti contribuì a volgere l’esito della guerra a favore dell’Intesa. Nelle fasi finali della guerra emersero rivalità e fragilità interne alle compagini statali multinazionali, sulle quali molto ha indagato la storiografia nel corso del’900.

Con le nostre truppe a Trento e a Trieste le generazioni di allora ritennero completato il processo di unità nazionale, grazie al raggiungimento dei confini naturali e alla definitiva scomparsa dell’Impero asburgico, che nel corso dell’Ottocento era stato il tradizionale nemico dei nostri ideali nazionali. La guerra produsse tra gli italiani un’unificazione non più semplicemente amministrativa e politica, ma reale, effettiva, di popolo, un sentimento di unità nazionale e patriottismo dato dal comune sacrificio, dalla convivenza nelle trincee di italiani di tutte le regioni, dalla vita in comune nel fango, nella neve o negli angusti spazi delle navi. Per la prima volta milioni di italiani si trovarono a condividere un’esperienza comune ed uno stesso obiettivo, forse non scelto, imposto, ma comunque comune.

Il sacrificio collettivo portò alla vittoria, pagata con l’altissimo prezzo di quasi 700.000 vite umane, e non c’è paese italiano che non commemori tal sacrificio con un monumento ai caduti, rappresentazione dell’intera società rurale dell’Italia di allora, ancora profondamente legata all’universo contadino. Tra i caduti troviamo tenenti e figli della borghesia locale, figli di contadini e sottufficiali, artigiani e soldati semplici. Vennero mobilitati più di sei milioni di italiani e attraverso le loro lettere e le notizie – accuratamente filtrate – sui giornali, tutta la nazione partecipò al conflitto, e non solo emotivamente. La sofferenza e il dolore non furono solo delle famiglie dei caduti, dei mutilati e dei dispersi, ma di tutto il Paese, che li fece suoi. Quando il Milite Ignoto venne portato a Roma, in una nazione travagliata da profondi conflitti sociali, il treno con la salma attraversò mezza penisola tra due ali di folla silenziosa e prostrata, persino nelle provincie politicamente più difficili.

Questo ha rappresentato la Grande Guerra sotto l’aspetto politico e sociale, con un prezzo altissimo in vite umane e con le conseguenze che ben conosciamo. L’Europa e il mondo ne uscirono stravolti. Per l’estensione territoriale dei campi di battaglia, per l’imponenza delle forze armate in conflitto, delle ricchezze sacrificate e per i risultati finali ottenuti, il primo conflitto mondiale rappresentò una svolta storica epocale, in quanto scardinò completamente il “sistema” internazionale, modificò comportamenti e assetti sociali, lanciò parole d’ordine di rilevante impatto psicologico: autodeterminazione dei popoli, Stato nazionale, redistribuzione della ricchezza. La delusione per gli obiettivi non realizzati, l’emergere di un nazionalismo esclusivo sempre più duro e irrazionale, il successo e l’affermazione della rivoluzione bolscevica in quella immensa e in parte sconosciuta aggregazione di popoli ed etnie quale era l’Impero zarista, i molteplici e non involontari equivoci dei trattati di pace, la riproposizione dell’isolazionismo degli Stati Uniti d’America e dunque la sostanziale esclusione dalla gestione del processo di pace aprirono in Europa un periodo lungo un ventennio di instabilità e di conflittualità, conclusosi con la deflagrazione di un nuovo conflitto mondiale. Il nuovo assetto europeo stabilito a Versailles non poté che prendere atto dei nuovi equilibri e proprio in sede di conferenza di pace si decise di sostenere le nuove compagini statali sorte sulle rovine dei grandi Imperi multinazionali, benché spesso queste apparissero altrettanto deboli e frammentate dei loro predecessori.

Per l’Italia, da poco annoverata tra le grandi potenze, quella guerra ebbe una grandissima importanza anche dal punto di vista militare. In tre anni e mezzo di durissima lotta era stato creato il migliore Esercito della nostra storia che di fatto riuscì a sconfiggere l’impero Austro Ungarico, con una Marina perfettamente all’altezza dei suoi compiti ed una nascente arma aerea dai promettenti sviluppi. Tutta l’Italia aveva concorso a questo risultato, da Guglielmo Marconi al bracciante analfabeta. La selezione imposta dal fronte fu pesante, buona parte di una generazione andò perduta e chi superò la prova si sentì poi cittadino di una patria comune, erede di un’esperienza che lo accompagnò per il resto della sua vita: ancora a mezzo secolo di distanza il Presidente Pertini ricordava i suoi mitraglieri e Papa Giovanni chiedeva, per il suo funerale, la bandiera del suo vecchio reggimento.

Nonostante le difficoltà durante la guerra l’Esercito cercò, riuscendovi, di trovare le migliori intelligenze per far fronte ai compiti sempre crescenti. Scorrendo i nomi degli ufficiali – assai spesso di complemento – ammessi in quegli anni ai corsi pratici di Stato Maggiore possiamo trovare, accanto ai futuri generali della Seconda Guerra Mondiale, i futuri capitani di industria, i futuri politici, un Presidente del Consiglio (Parri) e un futuro Presidente della Repubblica (Gronchi). Anche questo fu un merito, pur quasi sconosciuto, dell’Esercito di Vittorio Veneto. La disfatta dell’esercito austro-ungarico portò alla firma dell’armistizio di Villa Giusti che poneva fine alla guerra sul fronte italiano. L’anniversario della conclusione vittoriosa della Grande Guerra può costituire oggi un’occasione, una preziosa opportunità, per richiamare alla mente e ricordare cosa ha rappresentato nella storia d’Italia, nella nostra storia, quel 4 novembre.

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