4 Novembre: Giornata dell’Unità d’Italia e delle Forze Armate

Il 18 febbraio del 1861, in seguito alla seconda guerra d’indipendenza e ai plebisciti nei territori conquistati dal Regno di Sardegna, Vittorio Emanuele II inaugurò a Torino il parlamento italiano formato dai rappresentanti di tutti i territori annessi. Il successivo 17 marzo il re firmò con Cavour la legge che proclamava il Regno d’Italia. Scomparivano i ducati e i granducati in Emilia e Toscana, il dominio pontificio veniva ridotto alla sola zona del Lazio e tramontava il regno borbonico. A completare l’unità mancavano solo il Veneto e Roma. Il Regno d’Italia venne strutturato come un allargamento del Regno di Sardegna, mantenendo la forma istituzionale monarchico-costituzionale e un modello centralista. Il diritto di voto era attribuito – secondo la legge elettorale contenuta nello statuto albertino del 1848 – in base al censo e in tal modo gli aventi diritto costituivano appena il 2% della popolazione. Le basi del nuovo sistema erano quindi estremamente ristrette.

Nei primi anni di vita dello Stato unitario gli uomini della Destra storica, gruppo politico erede di Cavour ed espressione della borghesia liberal-moderata (composto principalmente da alta borghesia, proprietari terrieri, industriali e militari) si concentrarono sul completamento dell’Unità. Nel 1866, a seguito della terza guerra di indipendenza, al Regno veniva annesso il Veneto, sottratto all’Impero austro-ungarico. L’unificazione italiana veniva perfezionata nel 1870 con la presa di Roma e l’annessione del Lazio, che esasperavano ulteriormente l’ostilità della Chiesa cattolica e del clero nei confronti del nuovo Stato e contribuiva a rendere tesi i rapporti con il tradizionale alleato francese. Roma divenne ufficialmente capitale d’Italia (prima lo erano state Torino e Firenze).

Le differenze economiche, sociali e culturali ereditate dal passato resero difficili la costruzione di uno Stato unitario. Aree industrializzate ampiamente coinvolte nei processi di modernizzazione furono unite a  realtà statiche ed arcaiche del mondo rurale. La neonata Italia si trovò a fronteggiare questi ed altri problemi, dalla creazione di uno Stato unitario con leggi uniformate e una moneta unica, alla lotta contro l’analfabetismo e la povertà diffusa. Un forte elemento di instabilità fu rappresentato dal fenomeno del brigantaggio antisabaudo – represso con la forza – diffuso nelle regioni meridionali, che contribuì a complicare la già complessa questione meridionale.

Eredità delle vicende storiche che l’accelerato processo di unificazione nazionale, con l’adozione di leggi, quali la coscrizione obbligatoria, lontana dalla mentalità delle masse della popolazione rurale, non aiutò a risolvere.
Il tentativo di risanare le finanze tramite la promulgazione di nuove tasse, produsse un diffuso scontento popolare, che servì solamente ad accentuare i fenomeni di illegalità.

Nel 1876 il governo venne esautorato ed iniziò il periodo della Sinistra storica, guidata da Agostino Depretis. Lo storico cambio alla guida del Paese contribuiva insieme alla morte due anni dopo di Vittorio Emanuele II, a porre fine ad un’epoca ed aprirne un’altra, con Umberto I quale re. La Sinistra avviò politiche di democratizzazione e modernizzazione, investendo nell’istruzione pubblica (di cui fu ribadita l’obbligatorietà), allargando il suffragio elettorale e inaugurando una politica protezionistica e di diretto intervento dello Stato nell’economia (investimenti in infrastrutture e nello sviluppo dell’industria). Depretis avviò una serie di inchieste sulle condizioni di vita dei contadini nella penisola, la più famosa delle quali fu l’inchiesta Jacini, che rivelarono grande miseria e pessime condizioni. In politica estera il capo del governo abbandonò la tradizionale alleanza con la Francia e nel 1882 L’Italia si alleò con la Germania e l’Impero austro-ungarico, aderendo alla Triplice Alleanza.

Il governo della Sinistra inaugurò anche l’avventura coloniale italiana Nel 1882 l’Italia acquistò la baia di Assab e due anni dopo i diplomatici italiani si accordarono con la Gran Bretagna per l’occupazione del porto di Massaua, che presto assunsero la denominazione di Colonia Eritrea italiana. L’interesse coloniale continuò durante i governi di Francesco Crispi e la città di Massaua divenne il punto di partenza per un progetto che sarebbe dovuto sfociare nel controllo del Corno d’Africa. L’Italia cercò di penetrare all’interno dell’Etiopia, ma la politica di progressiva conquista del Paese trovò una battuta d’arresto con la sconfitta di Adua nel 1896.

Negli ultimi anni dell’Ottocento l’Italia fu protagonista di un vasto movimento di emigrazione di massa, con milioni di contadini che si trasferirono prevalentemente nelle Americhe. Ebbe anche inizio un ciclo di rapida industrializzazione che contribuì all’affermazione del movimento operaio nel Paese (nel 1892 fu fondato a Genova da Filippo Turati il Partito socialista italiano). L’industrializzazione ebbe i suoi punti di forza nella siderurgia e nella nuova industria idroelettrica, che sembrò risolvere il problema della carenza di materie prime. Anche l’industria continuò a ricoprire una posizione di rilievo, mentre iniziò ad affermarsi quella meccanica. L’economia tuttavia continuava a conservare forti squilibri tra il Nord del Paese, industrializzato e moderno, e il Sud, arretrato e agricolo.

Dopo l’uccisione di Umberto I in un attentato rivendicato per vendicare la strage del 1898 dei manifestanti a Milano presi a cannonate sotto ordine reale, divenne re Vittorio Emanuele III. Dal 1901 al 1914 protagonista della politica italiana fu il capo del governo Giovanni Giolitti, che affrontò il diffuso malcontento provocato dall’autoritarismo di Crispi. Al contrario del suo predecessore, Giolitti preferì il confronto con le parti sociali e l’accettazione delle proteste e degli scioperi, purché non violenti né politici. La linea politica tenuta da Giolitti influenzò anche una svolta all’interno del partito socialista, dove prevalse l’ala riformista che pose in minoranza la massimalista. Tra gli interventi più importanti del capo del governo vi furono la legislazione sociale e del lavoro, le prime leggi speciali per lo sviluppo del Mezzogiorno, il suffragio universale maschile, la nazionalizzazione delle ferrovie e delle assicurazioni, la riduzione del debito statale, lo sviluppo delle infrastrutture e dell’industria. Fu ripresa la politica coloniale e dopo la breve guerra contro l’Impero ottomano nel 1911 l’Italia occupò la Libia e l’anno dopo e il Dodecaneso.

Nella prima guerra mondiale l’Italia prima neutrale, entrò in guerra dopo la firma del Patto di Londra. L’accordo prevedeva lo schieramento dell’Italia al fianco dell’Intesa in cambio –  in caso di vittoria – dell’annessione del Trentino, dell’Alto Adige, della Venezia Giulia e dell’Istria – con l’esclusione di Fiume – e una parte della Dalmazia. Il comando dell’esercito venne affidato al generale Luigi Cadorna. Il fronte aperto dall’Italia contro l’Austria-Ungheria ebbe come teatro le Alpi e lo sforzo principale per sfondare il fronte fu concentrato nella regione delle valli dell’Isonzo. Nel 1917 gli austro-ungarici e i tedeschi ruppero il fronte convergendo su Caporetto e accerchiando le truppe italiane. La rottura del fronte provocò il crollo delle postazioni italiane lungo l’Isonzo e la loro ritirata. Conseguenze della disfatta furono la sostituzione di Cadorna con il maresciallo Armando Diaz in qualità di capo di stato maggiore. Gli austro-ungarici lanciarono una nuova offensiva il 15 giugno del 1918, che vide tuttavia gli italiani resistere all’assalto. Con l’Impero vicino al tracollo e l’impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo bellico nel lungo termine, l’offensiva italiana partì il 23 ottobre dal Piave e portò rapidamente alla vittoria di Vittorio Veneto. L’Austria-Ungheria a quel punto si arrese. Il 3 novembre a Villa Giusti (Padova) l’esercito imperiale firmò l’armistizio. Alla Conferenza di pace di Parigi l’Italia completò l’unificazione nazionale acquisendo il Trentino-Alto Adige, la Venezia Giulia, l’Istria ed alcuni territori del Friuli, le città di Trieste e Gorizia e le isole del Carnaro e Zara.

Le conseguenze sociali ed economiche della guerra furono pesanti. Nell’opinione pubblica si insinuò il mito della “vittoria mutilata” allorché alla conferenza di pace fu negata all’Italia la cessione della Dalmazia e di Fiume, in base al principio dell’autodeterminazione dei popoli. In un clima di delusione ebbero buon gioco i nazionalisti a fare sentire la loro protesta e ad applaudire l’occupazione di Fiume effettuata nel settembre del 1919 dai volontari guidati dal poeta Gabriele d’Annunzio e fiancheggiati da truppe sediziose dell’esercito. Gli operai e i braccianti, sull’onda del successo bolscevico in Russia, scesero in sciopero per rivendicare aumenti salariali e migliori condizioni di vita (Biennio rosso), ma il movimento popolare declinò rapidamente. Il sostegno dei ceti medi, degli agrari e degli industriali si indirizzò dunque verso l’emergente fascismo, che il 28 ottobre del 1922 prendeva il potere con la marcia su Roma e inaugurava un ventennio di dittatura, che si sarebbe concluso con gli orrori della seconda guerra mondiale.

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